Veneranda Arca di S. Antonio

Il 13 giugno 1231 all’Arcella morì Fernando Martins de Bulhões, più noto come s. Antonio da Padova. Il 15 giugno 1232, papa Gregorio IX canonizzò il frate francescano, il cui culto diede impulso a pellegrinaggi di devoti alla chiesetta di S. Maria Mater Domini, annessa al complesso conventuale, nella quale il santo aveva soggiornato dal 1229 al 1231 e nella quale fu sepolto.

Poco tempo dopo iniziò la costruzione della basilica che si protrasse fino al 1310. Manutenzione, modifiche, decorazioni, dotazioni di arredi e suppellettili, adattamenti e abbellimenti continuano ininterrotte da allora fino ai nostri giorni. L’amministrazione del consistente patrimonio costituitosi nel tempo e la gestione dei lavori di manutenzione e abbellimento della chiesa fu fin dalle origini affidata alla comunità cittadina che sviluppò e mantenne nei secoli un forte legame con il complesso basilicale. La costruzione stessa della nuova chiesa, fortemente voluta e molto supportata dai fedeli, era espressione autentica della patavinitas: gli interventi di edificazione, manutenzione e abbellimento erano gestiti e pagati da una commissione regolata dagli statuti cittadini che ne definivano i compiti (controllo dei lavori deliberati, amministrazione oculata degli stanziamenti, annotazione delle spese giornaliere e rendicontazione periodica del denaro). Notizie molto dettagliate sul ruolo precocemente svolto dalla comunità si trovano negli statuti cittadini. Nel 1265 il podestà Lorenzo Tiepolo decise un finanziamento annuo di 4.000 lire da parte del Comune espressamente destinato alla costruzione e al costante abbellimento della basilica. In quell’occasione fu costituito un collegio temporaneo, composto da due laici e da un frate con l’incarico di completare l’impresa. Qualche anno dopo, nel 1277, sotto il podestà Guido Roberti, fu aggiunto un ulteriore statuto che dettava norme sulle modalità di elezione e sui compiti del collegio dei due massari comunali incaricati di gestire i finanziamenti destinati alla fabbrica. Non si conosce il destino di tale magistratura cittadina; si può presumere che essa funzionasse fino alla conclusione dei lavori nel 1310. Di sicuro la sua competenza era circoscritta alla gestione dei fondi pro fabrica, mentre altre entrate erano gestite dai frati minori conventuali.

Una vera e propria istituzione, strutturata e regolamentata, compare nel 1396: a quell’anno, infatti, risale il primo complesso di statuti propri destinati a dare un assetto stabile e una serie di norme per il funzionamento della Veneranda Arca di S. Antonio. Il registro degli statuti inizia ricordando la decisione di raccogliere la normativa dell’istituzione in un volumen. Tale intervento di sistemazione normativa, che sancisce l’assestamento più o meno definitivo dell’istituzione, tanto da essere considerato l’atto fondativo, costituisce un riferimento forte anche per la regolamentazione delle procedure di produzione documentaria e di organizzazione dell’archivio dell’Arca, che da quel momento comincia a strutturarsi in forme stabilite e controllate. Peraltro nell’archivio esistono documenti più antichi di quella data, in primis la lettera solenne con la quale papa Gregorio IX canonizzò, il 15 giugno 1232, s. Antonio, munita ancor oggi del sigillo plumbeo pendente apposto a suo tempo dalla cancelleria pontificia.

Sempre nel 1396 il ministro generale, il beato Enrico Alfieri da Asti, in occasione di una visita al Santo, in pieno accordo col padre Marco da Conegliano, ministro provinciale della Marca trevigiana e coi frati del convento, aveva chiesto al comune di Padova di nominare quattro probi viri con il compito di amministrare, a nome dei frati, il patrimonio immobiliare del convento in modo da garantire il mantenimento e l’incremento delle dotazioni artistiche della basilica. In effetti, nel 1396, ci fu un vero e proprio accordo fra le autorità ecclesiastiche dell’Ordine in tutte le sue articolazioni gerarchiche e territoriali (il ministro generale fra Enrico Alfieri da Asti, il padre provinciale fra Matteo da Conegliano e la comunità religiosa del convento del Santo) e le autorità cittadine (consiglio cittadino e dominus) circa le modalità di gestione del patrimonio della basilica: l’ordine dei Minori conventuali avrebbe continuato ad amministrare e regolare la vita della basilica e del complesso conventuale gestendo le donazioni fatte al convento inteso come comunità dei religiosi, mentre i quattro cittadini laici, boni cives Patavini, coadiuvati da due religiosi del convento, avrebbero svolto i compiti di gestione dei beni mobili, riferibili alla sagrestia e alla biblioteca, gli immobili e le donazioni fatte specificatamente all’Arca del Santo e alla chiesa, o le donazioni fatte ai membri del convento, ma espressamente pro reparatione et augmento ecclesie. L’ambito di azione dei massari era chiaramente individuato: utilizzare le donazioni per la manutenzione e la decorazione della basilica e dei locali annessi. Il concetto di mantenimento del decoro del complesso monumentale non comprendeva solo la cura e la conservazione del patrimonio storico e artistico della basilica, ma si estendeva anche all’amministrazione di tutto ciò che riguardava i beni, le attività e il personale che ruotava attorno al convento e che era funzionale al suo buon andamento e alla sua attività. L’Arca, infatti, si occupava anche delle spese ordinarie connesse alla vita del complesso antoniano (manutenzione dei locali e degli alloggi dei frati e del personale ausiliario laico, sostentamento dei frati e dei collaboratori, gestione dell’archivio e della biblioteca, organizzazione e allestimento delle celebrazioni liturgiche, custodia e uso delle reliquie, acquisto di paramenti, argenterie e suppellettili).

Per le caratteristiche della sua fondazione, l’Arca del Santo si connota quindi come fabbriceria di una chiesa che si può a buon titolo definire civica, in quanto espressione della religiosità della cittadinanza.

La Presidenza dell’Arca era composta da quattro membri laici, eletti dal podestà cittadino tra cives padovani di provata rettitudine e capacità, e da due membri religiosi; i massari duravano in carica un anno ed erano designati ciascun anno nell’ottava della festività del santo, a giugno. Esisteva la contumacia di 4 anni e non era prevista alcuna forma di retribuzione. I massari laici erano rappresentanti di spicco della società cittadina, in particolare del gruppo dirigente padovano formato da esponenti del mondo accademico, famiglie nobili, soprattutto quelle legate ai Carraresi, membri della borghesia mercantile, gruppo massicciamente presente nel Consiglio cittadino e capace, in tale posizione, di gestire le questioni riguardanti la città, anche durante la dominazione veneziana. Soprattutto nel primo secolo di vita dell’Arca, le famiglie dalle quali provengono i massari appartengono prevalentemente al gruppo dei sostenitori e degli alleati della dinastia carrarese, abbastanza ostile al governo veneziano in nome di una patavinitas più volte ribadita.

Nei primi decenni di dominio di Venezia, i rappresentanti della Serenissima si accaparrarono la competenza di designare i massari laici e di controllarne l’operato, ma il Consiglio cittadino continuò ad assumere decisioni riguardanti l’Arca. In seguito, in concomitanza con l’aumento di potere del governo veneziano a scapito del Consiglio cittadino, crebbe lo spazio gestionale riservato alla componente ecclesiastica, almeno in alcune materie. Difatti, nel corso del XVI secolo, quando il titolo di presidente sostituì progressivamente quello di massaro, i candidati laici alla carica erano proposti dai frati del convento ed erano approvati dal podestà di Padova. L’innovazione era stata introdotta dalle norme statutarie stabilite nel 1471 dal generale dell’Ordine fra Zanetto da Udine, che ribadivano alcune disposizioni risalenti al 1396, ma nel contempo introducevano la nuova procedura per l’elezione dei presidenti. Fu inoltre aggiunto un altro membro ecclesiastico con l’incarico specifico di occuparsi della tenuta della cassa.

L’influenza dell’Ordine sull’opera della presidenza dell’Arca crebbe grazie agli ulteriori provvedimenti presi dal successivo ministro generale frate Francesco Sansone da Brescia e alle disposizioni di papa Sisto IV il quale, con la bolla Cum inter ceteras mansiones del 1479, approvò l’assetto strutturale e normativo dell’Arca, subordinando l’operato dei presidenti laici alla volontà dei membri ecclesiastici (il ministro provinciale, il padre guardiano del convento e il presidente cassiere).

Il patrimonio complessivo, beni mobili e immobili, dell’Arca, costituito inizialmente dalle somme stanziate dal Comune, crebbe enormemente nel XV secolo grazie non solo al continuo flusso di lasciti testamentari e alle donazioni dei devoti, ma soprattutto alle concessioni di indulgenze plenarie da parte dei papi, a partire da Sisto IV, che permisero di destinare i proventi delle indulgenze all’Arca. Nel 1477 l’intervento del ministro generale frate Francesco Sansone da Brescia ottenne che, in cambio delle donazioni fatte sugli altari dai pellegrini durante i periodi in cui vigeva l’indulgenza plenaria, l’Arca corrispondesse contributi per l’allestimento delle celebrazioni liturgiche, in particolare per la festa di s. An-tonio, e provvedesse al sostentamento dei frati. Negli anni, in seguito alle frequenti concessioni di indulgenze da parte del papa e alla moltiplicazione delle solennità liturgiche sempre più fastose, si registrò un progressivo incremento delle visite dei fedeli e delle donazioni, delle offerte, degli ex-voto e delle elemosine, regolarmente registrate dal frate sacrista. La più rilevante delle donazioni, non solo per le vicende dell’Arca, ma anche per la storia del territorio padovano, è quella fatta il 17 giugno 1405 da Francesco Novello da Carrara, che cedette all’Arca la gastaldìa di Anguillara, un cospicuo territorio nel quale si potevano trarre dalle affittanze notevoli profitti sia in denaro sia in derrate alimentari e in onoranze.

L’incremento patrimoniale determinò crescenti necessità amministrative e un conseguente maggiore impegno per i componenti dell’Arca: a ogni presidente laico fu affidato uno specifico ambito di competenza. C’era, ad esempio, il presidente alle liti, incaricato di seguire le vertenze legali, mentre al presidente cassiere era affidata la tenuta della contabilità. Le decisioni riguardanti la struttura amministrativa e il funzionamento dell’Arca hanno sempre avuto una ricaduta immediata sulla produzione documentaria e sull’organizzazione dell’archivio. In particolare, le norme sul funzionamento della complessa macchina amministrativa sono molto dettagliate per quanto riguarda le procedure contabili e la connessa redazione di documenti, come evidenziato dai cappelli introduttivi alle singole serie.

Ad esempio, nel 1527, rilevato un certo disordine e la mancanza di precisione nelle registrazioni, la presidenza dell’Arca decise di ampliare le competenze del presidente cassiere, che, non più in posizione subalterna ai colleghi, eletto annualmente come gli altri, fu incaricato di tenere la cassa e di effettuare le registrazioni puntuali delle entrate e delle uscite sul libro giornale e sul libro mastro. La correttezza della tenuta del registro di cassa era verificata al termine del mandato del cassiere da un’apposita commissione formata dal suo successore e da altri due presidenti. Era compito del cassiere annotare le spese per la manutenzione degli edifici (il costo dei materiali e il salario delle maestranze, la ricompensa per architetti, artisti e artigiani più o meno famosi).

Il 15 gennaio 1583 al cassiere fu affiancato un quaderniere, che coadiuvava il cassiere nella redazione e conservazione delle scritture contabili e redigeva i bilanci mensili. Il cassiere aveva anche il compito di recarsi due volte l’anno ad Anguillara, dove aveva mandato di sostenere spese per la manutenzione del territorio e dove doveva controllare l’amministrazione delle proprietà fondiarie della gastaldìa. In seguito gli si affiancarono, già nel XVI secolo, il fattore di città, che si occupava della gestione dei lavori del complesso basilicale, e, nel 1653, il fattore di campagna, che doveva riscuotere le affittanze e verificare l’esatto adempimento degli obblighi contrattuali da parte degli affittuari. Il fattore di campagna poteva gestire in autonomia una parte del denaro per le spese più urgenti che riguardavano la manutenzione del territorio, in particolare le bonifiche, i lavori di arginatura dei corsi d’acqua, gli interventi riparatori in conseguenza di non infrequenti esondazioni e le attività agricole. L’archivio è particolarmente ricco di notizie sul territorio di Anguillara che costituiva la parte preponderante dei possedimenti agrari dell’Arca e le attività del fattore di campagna, che era tenuto ad informare l’Arca di qualsiasi fatto rilevante accadesse, rapportandosi con il fattore di città, diventano sempre più incisive e complesse.

Il 31 marzo 1581 la presidenza dell’Arca decise di nominare un laico e un religioso “presidenti alla chiesa” con l’incarico di sovraintendere ai lavori «sopra tutte le fabbriche che si hanno da fare nel convento». Il 18 luglio 1585 la presidenza individuò un “presidente alle liti” e assunse in pianta stabile tre avvocati, incaricati di seguire le numerose vicende giudiziarie in cui l’Arca era implicata sia a Padova sia a Venezia.

Il rafforzamento e consolidamento del potere di Venezia sulla Terraferma nei secoli XVI-XVIII comportò un’ingerenza progressivamente maggiore dei rappresentanti del governo lagunare sull’operato dell’Arca: l’istituzione si rapportò sempre più intensamente con i rappresentanti locali della Repubblica e con le magistrature di controllo veneziane, in particolare con il Consiglio di dieci. L’incidenza della Serenissima divenne pressoché esclusiva nel XVIII secolo. Parallelamente, dalla metà del Cinquecento gli statuti dell’Arca furono redatti esclusivamente dai ministri generali. Ciò comportò una incidenza più contenuta della rappresentanza cittadina, anche se gli esponenti del notabilato urbano continuarono a essere eletti come presidenti e a spendere il loro prestigio sociale a favore dell’Arca.

Risale al 1787 la terminazione statutaria per la disciplina interna, approvata dal podestà di Padova, che prevedeva un significativo chiarimento circa la composizione della presidenza, formata da 4 laici, che rimangono in carica un anno con la contumacia di 4 anni, e da 3 religiosi (il padre guardiano, che rimane in carica 3 anni, e due frati eletti dalla comunità religiosa, che rimangono in carica 2 anni).

La delibera del 26 ottobre 1796 definì nuove modalità di elezione dei presidenti e ridistribuì i compiti di ciascuno; stabilì inoltre che, in ottemperanza della terminazione del Consiglio di dieci del 24 settembre approvata in data 26 settembre 1796, i tre presidenti religiosi non dovevano intervenire nella gestione economica delle rendite dell’Arca. Infine si stabilì che il collegio di presidenza deve essere convocato ogni primo e terzo sabato del mese, che i mandati di pagamento dovevano essere a stampa, a cura del cassiere.

I padri del Santo reagirono alla loro esclusione dalla gestione economica dell’Arca e, tramite un loro avvocato a Venezia, presentarono una supplica per ottenere l’annullamento del decreto del 26 settembre al Consiglio di dieci, che in data 29 novembre 1796 sospese il decreto per tre mesi. Nella delibera dell’8 dicembre 1796 si dà notizia che la supplica fu accolta e i padri reintegrati nella gestione economica dell’Arca: come segno tangibile fu riconsegnata al padre guardiano una delle tre chiavi dello scrigno/cassa in cui si conservavano il denaro contante, le chiavi dell’archivio e delle casselle.

La caduta della Repubblica di Venezia, nel 1797, e l’avvento dei nuovi regimi rivoluzionari determinarono la soppressione del convento del Santo e la confisca dei suoi beni, compreso l’archivio. Ma tali provvedimenti non colpirono la Veneranda Arca del Santo, in quanto la legislazione napoleonica considerò – correttamente – le fabbricerie come istituzioni laiche. Anzi, con l’art. 76 degli Articoli organici che furono inseriti nel concordato tra la Francia e la Santa Sede del 1801 e soprattutto con il decreto imperiale napoleonico del 30 dicembre 1809, fu riconosciuto alla componente laica delle presidenze delle fabbricerie il ruolo di vigilanza sulla conservazione degli edifici sacri e sulla amministrazione delle elemosine. In tal modo l’istituto della Veneranda Arca del Santo non solo sopravvisse all’ondata di riforme rivoluzionarie e napoleoniche, ma assunse anche la responsabilità della gestione delle funzioni amministrative di governo della basilica precedentemente attribuite all’Ordine. Grazie a questo riconoscimento, l’Arca riuscì con la sua opera a salvare dalla confisca importanti beni della basilica come i reliquiari della Cappella del tesoro e la Biblioteca Antoniana.

Dal punto di vista istituzionale, quindi, la cesura del 1797, adottata dal Cessi, non è giustificata: per l’Arca le modalità di funzionamento non cambiarono radicalmente in concomitanza con la fine degli antichi regimi. Modifiche gestionali furono introdotte lentamente, in linea con l’evoluzione generale che si può riscontrare in altre istituzioni. Questa riflessione è determinante per comprendere la struttura delle serie documentarie, che non registrano alcuna cesura alla data del 1797, ma continuano per alcuni anni successivi fino a quando subentrò qualche cambiamento derivante soprattutto dalla nuova normativa civilistica, fiscale e contabile.

Le vicende istituzionali dell’Arca nell’Otto e Novecento, al pari del resto con quanto accaduto in antico regime, sono quindi da leggere tenendo presente come gli interventi normativi esterni hanno influito sulle vicende interne dell’istituzione. Un tema costante degli interventi esterni è quello relativo alla definizione esatta della fisionomia giuridica dell’Arca e alla determinazione delle sue competenze: contrapposti interessi (statali ed ecclesiastici), pesantemente condizionati dai problematici rapporti fra Chiesa e Stato in Italia, hanno indotto lunghe discussioni e numerosi pronunciamenti giurisdizionali, tutti influenzati dalla specifica temperie politica e culturale delle singole epoche. Infine, nel 2000, una speciale commissione del Consiglio di Stato decretò che le fabbricerie fossero da considerarsi enti privati a rilevanza pubblica.

Ma ripercorriamo passo dopo passo la storia dell’Arca nei secoli XIX e XX.

Nel 1807 un decreto del Regno italico estromise i frati dal convento, che rientrarono solo nel 1826. Il 15 settembre 1807 fu promulgata la legge sulle fabbricerie, in base alla quale l’esistenza dell’Arca fu garantita.

In epoca asburgica l’Arca si provvide di un ampio e articolato regolamento (28 marzo 1843, n. 94), rimasto in vigore pochi anni. Nel frattempo, nel 1847, i frati rientrarono nel collegio di amministrazione dell’Arca: nello specifico il guardiano e il procuratore del convento affiancano i tre amministratori laici.

Nel 1849 le norme del 1843 furono sostituite dal Regolamento per gli impiegati dell’Arca del 16 gennaio 1849, n. 17. L’ufficio di presidenza dell’Arca era affiancato da alcune figure amministrative “tecniche”, per ciascuna delle quali si stabilirono precise funzioni: il segretario, il ragioniere, l’agente di città o fattore.

A seguito del concordato del 25 settembre 1855 tra l’imperatore Francesco Giuseppe I e il papa Pio IX sui beni ecclesiastici, il 22 dicembre 1860 il vescovo di Padova emanò il «Regolamento per l’amministrazione dei beni ecclesiastici» contenente norme rilevanti relative alle fabbricerie.

Qualche giorno prima, il 14 dicembre 1860, il vescovo di Padova aveva scritto una circolare in merito alla gestione dei beni ecclesiastici da parte delle fabbricerie.

In ottemperanza a quanto previsto dal regolamento emanato nel 1860 dal vescovo di Padova, la composizione del collegio fu adeguata alle nuove disposizioni: nel 1861 il collegio era composto da 5 membri, dei quali due laici, due religiosi e il padre guardiano del convento, che assunse la presidenza.

Fino al 1863 nei documenti si trova la denominazione di Amministrazione della Veneranda Arca e i suoi componenti sono chiamati amministratori; poi nel 1864 si osserva l’utilizzo ambivalente sia di amministrazione sia di presidenza e, conseguentemente, sia di amministratori sia di presidenti; infine, a partire dal 1865 si parla di presidenza della Veneranda Arca e di presidenti.

In concomitanza con l’annessione del Veneto al Regno sabaudo, il regio decreto 28 luglio 1866, n. 3089, sancì l’annullamento del precedente concordato e decise la cessazione delle fabbricerie e delle amministrazioni delle chiese. La circolare 24 novembre 1866, n. 3592, del commissario del re per la provincia di Padova stabilì che le nomine delle fabbricerie per ogni chiesa parrocchiale, vicariale o santuario dovevano essere effettuate di concerto con «i reverendi preposti delle chiese suddette e i reverendi amministratori ecclesiastici», i quali dovevano proporre una rosa di nomi da sottoporre alla Giunta municipale. Per Padova e provincia la Giunta municipale stabilì: «corrisponderà direttamente con il commissariato del re», i nomi dei nuovi fabbriceri, che avrebbero dovuto entrare in carica a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo. Difatti, il 24 gennaio 1867 la Giunta municipale di Padova nominò gli amministratori dell’Arca, escludendo i padri conventuali, che prima ne facevano parte, dal collegio di presidenza. Il 25 aprile 1867 all’Arca fu riconosciuto dal prefetto di Padova il diritto di nominare gli officiatori e di stabilire il regolamento per l’officiatura.

Con deliberazione del 4 marzo 1870, n. 87/65, la presidenza approvò un nuovo regolamento che sostituì quello del 1849. Negli anni successivi la Presidenza approvò una serie di regolamenti:

12 luglio 1894 n. 171: regolamento per il personale d’ufficio;
2 marzo 1898 n. 100: regolamento d’amministrazione dell’Arca;
1° febbraio 1922: regolamento d’amministrazione dell’Arca;
19 novembre 1926: nuovo regolamento per l’ufficiatura in basilica;
18 maggio 1932: «Regolamento per la cessione alla Santa Sede della basilica di S. Antonio in Padova con gli edifizi ed opere annesse in applicazione dell’art. 27 del Concordato (1932)», emanato in applicazione dell’art. 27 del Concordato del 1932 , tuttora in vigore.

La Veneranda Arca, ente tuttora attivo e operante, è ancor oggi regolata dallo statuto approvato con regio decreto dell’11 marzo 1935 e dal regolamento del 1932, che ne stabilisce i compiti. Attualmente l’ufficio di presidenza è composto da 7 membri di cui 5 laici, nominati dal Comune di Padova, e 2 rappresentanti ecclesiastici: il rettore della basilica, membro di diritto, e un delegato pontificio nominato dalla Segreteria di Stato della Santa Sede.

Credits

L’inventario in formato digitale è stato curato da Giorgetta Bonfiglio-Dosio, sulla scorta dell’edizione a stampa: Giorgetta Bonfiglio-Dosio, Giulia Foladore, Archivio della Veneranda Arca di S. Antonio. Inventario, Padova, Centro studi antoniani, 2017, voll. 3 (Varia, 60)

Orari di apertura

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